The Dig: un’avventura fantascientifica firmata LucasArts di federica Vivarelli

Non sono abituata a scrivere recensioni, ma lo trovo doveroso in caso di prodotti che conservo con stima ed affetto sia nel cuore che nell’immaginario personale: è questo il caso di The Dig, avventura grafica della Lucas Arts datata 1995. Si tratta di fantascienza, di quella che porta sul piatto ingredienti interessanti mescolati in modo poco scontato. Nonostante ciò, è un videogioco che divide, o lo si ama o ne si resta insoddisfatti. L’idea nasce da Stephen Spielberg, che utilizzando tematiche prese in prestito da Treasure of Sierra Madre e Forbidden Planet, voleva usare la trama per la sua serie TV Amazing Stories. Non avendo abbastanza budget, passa l’idea al suo amico George Lucas, affinchè la trasformi in videogioco. Ha così inizio una storia tormentata lunga 6 anni, in cui svariati team si susseguono per realizzare l’idea in forma di avventura grafica. Prima sotto la direzione di Noah Falstein (Indiana Jones and the Fate of Atlantis) e Dave Grossman (Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge), poi di Brian Moriarty (Loom) per poi passare a Sean Clark (Sam & Max Hit the Road) che lo porterà a compimento. Durante questo lungo travaglio, l’avventura grafica ha cambiato natura numerose volte, addirittura prendendo la forma di un RPG in una delle sue prime versioni, per poi assumere quella finale di un punta e clicca con puntatore intelligente, basato su piattaforma Scumm. L’inizio della storia risulterà simile ad un celebre film: un asteroide è in rotta di collisione con la terra e la Nasa manda una missione shuttle per far esplodere delle cariche nucleari, nella speranza di deviarlo in un’orbita stabile. Dopo aver completato la missione, l’equipaggio scopre che l’asteroide è in realtà una nave spaziale creata da esseri intelligenti. La navicella si attiva e trasporta il team su un lontano pianeta. Il comandante Low, la giornalista Maggie Robbins e il geologo Ludger Brink dovranno esplorare questo strano mondo chiamato “Cocytus” per ritrovare la via di casa e rilevare alcune interessanti scoperte lungo la strada. A differenza dell’idea iniziale di Spielberg, la caratterizzazione dei personaggi non è sfruttata al suo pieno potenziale, sebbene le loro interazioni siano comunque di rilievo per il proseguo della storia. Il tono del gioco è decisamente più serioso di altri titoli, ragion per cui The Dig è considerato la “pecora nera” della LucasArts. Ecco una lista di alcune delle tematiche e argomenti affrontati nel gioco: La Xenoarcheologia Il concetto di fantascienza è legato al concetto di futuro, inteso sia come la capacità di poter conoscere ed esplorare l’universo e quindi entrare in contatto con razze aliene, sia per la credenza comune che queste eventuali razze siano tecnologicamente più avanzate della civiltà terrestre. Invece, è quasi un paradosso temporale immaginare una fantascienza basata sul passato, tracce aliene di una storia remota che nel presente possiamo solo raccontare attraverso l’interpretazione di un ambiente plasmato dalla loro eredità. Nasce così la Xenoarcheologia, un’ipotetica scienza che, similmente all’archeologia, studia le rovine e le reliquie di antiche civiltà extraterrestri andate perse nel tempo. Lo stesso nome del gioco, “The Dig”, suggerisce che i protagonisti dovranno “scavare” e analizzare reperti archeologici per dare un senso al loro viaggio lontano dal pianeta terra. Morte e resurrezione Una tematica ricorrente nell’immaginario religioso e filosofico della storia umana è il concetto di morte e resurrezione. Ben meno ricorrente lo è nei videogiochi, dove non capita spesso di dover ragionare sul valore della morte e la possibilità di sconfiggerla sovvertendo le regole. C’è un prezzo da pagare per chi sfida il corso naturale delle cose? The Dig è un ottimo titolo per esplorare la questione, tanto delicata quanto attraente. Spacetime Four – Spacetime Six Se lo spaziotempo in fisica è un modello matematico che esprime la struttura quadridimensionale dell’universo (le tre dimensioni dello spazio, più il tempo), nel videogioco viene introdotto il modello “Spacetime Six”, che vanta tre dimensioni per lo spazio e ben tre per il tempo. Nel videogioco, Spacetime Six viene descritta come una dimensione di incredibile bellezza in cui è possibile vedere ogni passato e ogni futuro. Chiedendo venia agli esperti in materia, se una delle tre dimensioni è il tempo spazializzato della fisica classica, mi domando cosa possano essere le altre due. Magari il tempo della coscienza di Bergsoniana memoria, il tempo qualitativo… oppure un tempo non lineare ma ciclico, il tempo di Nietzsche, degli antichi e dei Veda, in cui la dimensione del passato coesiste nel presente con la dimensione del futuro, in completa sincronicità, il quale spiegherebbe la possibilità di vedere il passato e il futuro, come si narra nel videogioco. Se queste ragioni non sono abbastanza per chiarire il perchè ogni amante della fantascienza dovrebbe giocare a The Dig, c’è un altro aspetto da non trascurare: il profilo artistico. Il gioco ha una grafica bidimensionale (simile a quella di altri titoli come Monkey Island) salvo per alcune sequenze tridimensionali create da Industrial Light & Magic. Tuttavia la risoluzione di 320×200 punti a 256 colori era già obsoleta rispetto agli standard di mercato. Infatti, ciò che rende qualitativo l’aspetto grafico del gioco non sono le specifiche tecniche, ma il design stesso, sia per il concept dell’archietettura aliena, sia per la resa cromatica. Le ambientazioni sono caratterizzate da forme geometriche riconducibili ai solidi euclidei, con triangoli e poligoni valorizzati da un contrasto caldo/freddo tra primo piano e sfondo. Il giocatore viene immerso in un paesaggio surreale pur sempre mantenendo la massima leggibilità delle scene. La colonna sonora è altrettanto elegante, composta da Michael Land già autore di musiche per Monkey Island. L’autore usa il sintetizzatore unitamente a dei campionamenti della musica di Wagner, rendendo il sonoro allo stesso tempo classico ma dispersivo, che accompagna il giocatore lungo questo viaggio quasi esistenziale. The Dig può risultare frustrante per alcuni giocatori, a causa di enigmi con pochi indizi che rischiano di lasciarti senza una chiara idea di dove andare o cosa fare: ma se si riesce ad andare oltre il gameplay, il gioco non può che lasciare il segno.

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